Il ministro: «Il caso è chiuso»
ROMA
Non ha «mai autorizzato» l’affidamento di Ruby il pm dei minori di Milano Annamaria Fiorillo, e vuole che «si sappia». Per questo oggi ha presentato un ricorso al Csm chiedendo che chiarisca «la discrepanza tra i dati di realtà che sono a mia conoscenza e le dichiarazioni rese dal ministro Maroni avallate da quelle del Procuratore Bruti Liberati». Per i quali, invece, «il caso è chiuso». Domani Palazzo dei Marescialli esaminerà l’istanza ma alcuni consiglieri hanno già fatto notare che il Csm non c’entra e non ha spazio per un intervento.
Potrebbe portare a un nuovo scontro tra istituzioni, o forse solo tra magistrati, la vicenda di Ruby, la giovane marocchina protagonista dell’inchiesta milanese per favoreggiamento della prostituzione che ha raccontato di essere stata ospite ad Arcore, dal premier.
Il pm Fiorillo, di turno la notte tra il 27 e il 28 maggio, quando la ragazza ancora minorenne venne portata in Questura per una denuncia di furto e poi affidata dagli agenti alla consigliera regionale Nicole Minetti, non accetta come Procuratore e Ministro abbiano chiuso il capitolo. Certo, nei giorni scorsi la Procura del Minori, aveva inviato a Bruti una relazione, ma lei, a differenza degli ispettori, non è mai stata convocata. E così per quel «rispetto delle istituzioni e della legalità» in cui crede «profondamente» e che ha visto «calpestate», ha deciso di presentare un ricorso al Consiglio Superiore della Magistratura per far luce, magari anche interpellandola direttamente, tra le molte versioni che si sono affastellate su quella serata di maggio: «Con riferimento alle dichiarazioni rese dal ministro dell’Interno Maroni ieri 9 novembre al Senato in merito al caso della minorenne in oggetto - ha scritto il pm -, essendo stata personalmente coinvolta nella vicenda in veste di pubblico ministero della Procura per i minorenni di Milano di turno il 27 e il 28 maggio 2010, osservo che esse non corrispondono alla mia diretta esperienza. Poichè il ministro - prosegue - ha tenuto a rimarcare che il corretto comportamento degli agenti è stato confermato anche dalla autorità giudiziaria per voce del procuratore Edmondo Bruti Liberati all’esito di specifica istruttoria, chiedo che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita».
Insomma ad Annamaria Fiorillo non è andato proprio giù come Bruti Liberati e poi Maroni hanno risolto la faccenda, tutt’altro: «Voglio si sappia che non ho mai autorizzato l’affidamento della minorenne. Mi interessa solo questo: mi sempre sono opposta strenuamente». Anzi, ha ricordato che quando le dissero che la ragazza era la nipote di Mubarak, aveva disposto di rintracciare un diplomatico egiziano che mettesse nero su bianco l’identità e, quindi, la parentela illustre della giovane. E poi, durante le varie chiamate ricevute dagli ispettori, di non aver mai dato il consenso a consegnare Ruby, nelle mani della consigliera Minetti.
Per Maroni il «caso è chiuso», così come per Bruti che si è limitato a un «non ho nulla da aggiungere a quanto già detto nei giorni scorsi. Per me la vicenda era già chiusa allora». Quando otto giorni fa, l’istruttoria del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del pm Antonio Sangermano, lo aveva portato ad affermare che le «procedure di identificazione, fotosegnalazione e affidamento si erano concluse correttamente», sottintendendo che di quanto accaduto in Questura rimanevano aperti due capitoli: quello sulla telefonata del premier al capo di gabinetto Pietro Ostuni e quello sul fatto che la giovane non venne mai ospitata da Nicole Minetti, nonostante le fosse stata affidata dai poliziotti.
E mentre il ricorso al Csm ha scatenato nuove polemiche nel modo della politica - tra cui il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, l’ex ministro Oliviero Diliberto e il Pd che hanno attaccato Maroni («o chiarisca o si dimetta») -, da Palermo spuntano altri retroscena nell’ambito dell’inchiesta per narcotraffico che ha portato in carcere Perla Genovesi, l’ex assistente del senatore del Pdl Enrico Pianetta. Dalle intercettazioni effettuate, ci sono decine di telefonate tra la donna e ministri e parlamentari e anche ad Arcore, la residenza di Berlusconi. Telefonate ritenute al momento dagli inquirenti penalmente irrilevanti ma che comunque verranno riascoltate e trascritte dai carabinieri.
Perla Genovesi ai magistrati palermitani ha fatto il nome di Nadia Macrì, la escort che ha raccontato di presunti rapporti sessuali a pagamento col premier Silvio Berlusconi, e ha parlato anche di finanziamenti sospetti all’ospedale San Raffaele e di un presunto «mercato delle candidature» nel 2006 e che sarebbe ruotato attorno a Marcello dell’Utri e Forza Italia. Gli atti relativi a questi filoni di indagine sono stati trasmessi a Milano.
(source:lastampa.it)
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